Sul metaverso e play to earn
Da un paio di mesi la parola metaverso è praticamente ovunque, sembra che ci siamo immediatamente trasportati in una nuova realtà stile “Ready Player One”, persino Facebook ha cambiato il nome dell’azienda in “Meta”.
Ma quindi cosa è questo metaverso?
Iniziamo dicendo che il metaverso non è affatto un nuovo concetto, il film Ready Player One è del 2018, il videogioco Second Life è addirittura del 2003 mentre il visore oculus è stato creato nel 2012.
Il fatto che questa parola sia tornata mainstream proprio adesso non ha niente a che vedere con una realtà virtuale in cui si accede ad universi paralleli fighissimi come in quella del sopracitato film, anzi tutto questo hype viene attribuito ad un qualcosa di molto più semplice: i videogiochi che utilizzano la tecnologia blockchain.
Grazie alla blockchain si possono memorizzare in maniera distribuita oggetti e consumabili del gioco, sottoforma di NFT, è possibile poter creare un mercato secondario per essi dove gli utenti li scambiano per soldi, e sempre grazie alla blockchain si può guadagnare tokens giocando, tokens che poi possono essere venduti, da qui il modello di play-to-earn: gioca per guadagnare.
Ci sono giochi in cui se sei bravino puoi arrivare a 100, anche 500 dollari al giorno, con un minimo investimento iniziale. E se non hai tempo di giocare ma hai i soldi per poter investire? Beh puoi affittare i tuoi oggetti o personaggi a qualche altro utente che non può permetterseli e giocherà per te e vi dividerete i guadagni.
Ci sono poi alcuni nuovi giochi, come quelli “walk to earn” ovvero cammina per guadagnare, dove l’utente deve comprare una scarpa NFT, del valore al momento di circa $2000 e, per farla semplicistica, più cammina, più guadagna. Guadagna in token del gioco, che poi può usare per potenziare la sua scarpa ed aumentarne la potenza, e quindi i successivi guadagni, o convertire questi token in euro o dollari. Questi giochi vogliono incentivare uno stile di vita sano e attivo. Anche se si è già visto di persone che prestano le loro scarpe NFT ad amici in modo da fare più passi, e quindi guadagnare di più.
Quindi ricapitolando, giochi in cui si guadagna per il semplice fatto di giocare e vincere, giochi in cui basta un investimento iniziale per comprare personaggi, armature, scarpe e si può avere uno stipendio niente male. E se non hai i soldi puoi sempre chiedere ad un giocatore pigro di affittarti i suoi e dividere i guadagni.
Ma è davvero cosi?
Ma soprattutto quanto è sostenibile un modello del genere che grida al modello piramidale da ogni lato in cui viene esaminato?
Ecco, anche se non è uno schema piramidale, lo ricorda molto. I token che si guadagnano hanno un valore dato dal mercato, oggi possono essere ad $1 e domani a 1 centesimo, quindi i miei $100 di guadagno oggi possono essere un dollaro domani, giocheresti mai ad un gioco un giorno intero per un dollaro?
Il valore del token, così come quello degli oggetti è dato dal mercato, se oggi ci sono tanti giocatori, c’è tanta richiesta e quindi il valore è alto, se un domani il gioco viene dimenticato, diventa anche più economico da giocare, ma i guadagni tenderanno allo zero. E chi ha comprato quell’NFT a $2000 forse non li recupererà mai.
Pensate se un gioco come Pokemon GO fosse stato fatto con gli NFT: nei primi mesi da quando è stato lanciato, un numero esorbitante di persone aveva scaricato il gioco, ci sarebbe stata una richiesta assurda, magari un Charizard sarebbe arrivato a costare un milione, mentre dopo qualche anno magari non vale più niente visto il numero decrescente di giocatori.
Ma il vero problema non è nemmeno qui.
La componente piramidale di questi giochi non è nemmeno il vero problema, per capirla dobbiamo come prima cosa chiederci :
Perchè una azienda, quindi un’entita privata, che produce un videogioco vuole decentralizzare il suo database?
NFT è una parola trendy, una parola commerciale che usata dall’ufficio stampa di quell’azienda in un comunicato, insieme a metaverso, produrrebbe una pubblicità immediata, una prima pagina assicurata. Non sarebbe la stessa cosa se quel comunicato stampa parlasse di “oggetti collezionabili”.
Il nuovo fa notizia, la parola blockchain fa notizia, ma la blockchain non è nient’altro che un database che funziona male, specie se paragonato ai normali database SQL. L’unica differenza è che è un database distribuito e perciò più lento ed accessibile a tutti.
Se l’azienda produttrice di un gioco, da un giorno all’altro, decidesse di non svilupparlo più, o addirittura fallirebbe spegnendo tutti i server, quindi rendendo il gioco inutilizzabile, quegli NFT resterebbero si sulla blockchain, ma sarebbero inutili, perché inutilizzabili. Nessuna nuova azienda vorrebbe creare un videogioco dove si possono utilizzare NFT che sono stati già creati, quindi ci ha fatto profitto, da un’altra azienda.
Chi crede che gli NFT siano la miglior tecnologia per gli oggetti nei videogiochi, motiva la sua scelta anche con il fatto che con questa tecnologia è facile creare un mercato per essi. I giocatori sono così liberi di scambiarsi o vendersi i vari oggetti in cambio di tokens o soldi, usando la blockchain e senza intermediari.
Al di là delle considerazione fatte prima, ovvero che la blockchain è il database meno ottimizzato che esiste e che quegli oggetti sono comunque legati al gioco e senza di esso non valgono nulla, va considerato il fatto che i marketplace per gli oggetti nei videogiochi esistono già senza NFT e senza blockchain. E funzionano bene.
Prendendo un esempio che conoso bene, il videogioco calcistico FIFA, ha un suo mercato interno, in cui gli utenti possono vendersi giocatori, stadi e oggetti vari, funziona benissimo, c’è la possibilità di fare aste o di compra subito, come eBay. Il fatto che questi oggetti non siano vendibili per soldi reali ma solo per tokens interni al gioco è una scelta aziendale, e anche una scelta giusta a mio parere, che mantiene l’esperienza di gioco autentica e divertente.
I videogiochi sono fatti per divertirsi, non per speculare. Per quello ci sono i mercati.
Conclusione
Tra videogiochi che assomigliano ad uno schema ponzi e brutti videogiochi del “metaverso”, veramente brutti, che sembrano giochi usciti 10–15 anni fa, non posso di certo dire che fin’ora l’accostamento del mercato videoludico alla blockchain sia stato un’esperimento di successo.
I volumi e la capitalizzazione di mercato, altissimi, raccontano un’altra storia, ma i videogiochi non nascono come strumento di speculazione, il fatto che i prezzi di questi NFT sono così alti è solo dovuto alla bolla in cui siamo adesso, i veri videogiocatori, quelli che guardano alla qualità e alla purezza del gioco e non a quanto si guadagna, non hanno mai sentito parlare di questi giochi su blockchain.
A livello tecnologico ho già demolito troppo questo mix di videogiochi e blockchain quindi non aggiungerò altro, per ora gli NFT sono una soluzione in cerca di un problema, e non lo hanno ancora trovato, non di certo nei videogiochi speculativi.
Credo che con il tempo, dopo molti tentativi falliti, si arriverà a capire quale sia il miglior utilizzo della tecnologia di blockchain e NFT nel settore videoludico. Ma fino ad allora me ne terrò ben lontano.
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